Quanto accaduto con la diffusione del Covid-19 prima e quanto sta succedendo da quando le attività lavorative sono state riaperte, solleva diversi interrogativi. Il principale, e forse più urgente, è quello relativo alla sanificazione degli ambienti di lavoro. Non basta, infatti, riaprire un’azienda, un negozio o un ufficio, per lasciarsi alle spalle i rischi legati al contagio. Non è sufficiente nemmeno dotarsi di mascherine, guanti e gel igienizzante; la sanificazione degli ambienti di lavoro è un’attività molto importante, anche perché coinvolge la responsabilità del titolare e di chi si occupa della sicurezza sui luoghi di lavoro.
Trattandosi di aspetti legali molto precisi e allo stesso tempo molto delicati, abbiamo avuto il piacere di intervistare l’Avvocato Pasquale Morelli, con il quale abbiamo affrontato i diversi aspetti che coinvolgono la questione della sanificazione degli ambienti di lavoro.
Perché un imprenditore deve prestare particolare attenzione alla sanificazione dei luoghi di lavoro? Quali sono le responsabilità verso i suoi dipendenti?
«Chi svolge attività di impresa, per legge, è tenuto a garantire ai propri dipendenti ed ai terzi (es. clienti, fornitori o visitatori), un ambiente di lavoro sicuro per la salute e l’incolumità fisica di ognuno.
Quello della sanificazione, quindi, è solo uno degli aspetti di sicurezza che l’imprenditore deve adeguatamente considerare, soprattutto in questo momento storico segnato dalla pandemia da covid-19. Il datore, ha infatti un debito di sicurezza (anche) verso i propri dipendenti, tant’è che nel caso di incidente sul lavoro, al fine di appurare possibili sue responsabilità, occorre che si indaghi sulle cause e sulle misure prevenzionistiche spiegate dal datore, nonché sui criteri adottati per la valutazione del rischio.
È quindi possibile affermare che la responsabilità del datore, è correlata alla sua capacità di prevenire gli infortuni e non solo all’infortunio in sé»
Qual è la normativa cui fare riferimento per capire gli obblighi cui bisogna attenersi? Cosa si intende per “sanificazione degli ambienti di lavoro”?
«La normativa di riferimento è certamente quella del d.lgs 81/2008, altrimenti noto come Testo Unico sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, che al suo interno prevede norme specifiche ed obblighi (art. 17 e seguenti) sui diversi soggetti che assumono posizioni di garanzia in seno all’impresa. Imprescindibile in un sistema di tutela della salute e della sicurezza in azienda, è il DVR (documento di valutazione rischi, previsto all’art. 28 del d.lgs 81/2008).
Altrettanto importante è poi il MOG (modello organizzazione e gestione), rispetto al quale si aprono considerazioni più ampie, rivolte alla normativa del d.lgs 231/2001. In questi mesi si è ampiamente discusso sulla necessità o meno di aggiornare il DVR in funzione del rischio biologico da covid-19, e dell’applicazione dei diversi protocolli di sicurezza che le diverse categorie di impresa hanno inteso stilare, sulla scorta delle linee guida promulgate, solo per citarne alcune, dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero del Salute.
Quella della sanificazione degli ambienti di lavoro, appunto, è misura di prevenzione che in questa fase assume particolare rilevanza, necessaria sia per quelle attività che si confrontano da sempre con il rischio biologico (come ad esempio le attività sanitarie) sia quelle che lo gestiscono quale rischio esogeno, esterno all’ambiente di lavoro. L’attività di sanificazione consiste in una serie di operazioni atte a rendere sani gli ambienti in cui soggiornano gli individui, mediante operazioni di pulizia, disinfezione (distruzione o inattivazione di microrganismi patogeni), disinfestazione (eliminazione di piccoli animali, artropodi) e derattizzazione (intervento sui ratti), nonché mediante il controllo del microclima.
La sanificazione, quindi, è attività complessa che non tutte le imprese possono compiere, se non posseggono i requisiti di cui al DM n. 274/1997»
Esistono degli obblighi, dei doveri e delle responsabilità anche da parte del lavoratore? Soprattutto in questo periodo in cui lo smart working è, per molte attività, una nuova dimensione professionale?
«Quello della sicurezza sul lavoro è un processo complesso, al quale partecipano i molteplici soggetti presenti in azienda. I lavoratori, infatti, sono tra i protagonisti di una buona gestione del rischio aziendale. Questi, perché debitamente formati, informati ed addestrati, hanno il dovere di salvaguardare la salute e la sicurezza propria e degli altri individui presenti nell’ambiente di lavoro (art. 20 d.lgs 81/2008).
Dobbiamo considerare che i comportamenti di ognuno, sono potenzialmente in grado di condizionare, positivamente e non, le vite degli altri. L’azienda, per sua definizione è organizzazione, e la gestione dei lavoratori è attività complessa dagli innumerevoli risvolti e dalle scelte ponderate.
Lo smart working, poi, sotto diversi profili ha caratteri di complessità spiccata, in quanto l’attività lavorativa è svolta fuori dai tradizionali luoghi aziendali, e quindi in ambienti che non sono sotto il diretto dominio del datore di lavoro. Nasce pertanto il problema della sicurezza di questi ambienti lavorativi “esterni”, la cui conformità e destinazione d’uso, sono rimesse anche a valutazioni condotte dal lavoratore, che in questo caso (art. 20 c. 2 legge 81/2017) assume un ruolo determinante nell’individuazione dei rischi e delle relative misure di gestione.
È quindi comprensibile, quanto articolato possa essere il rispetto di norme prevenzionistiche in contesti lavorativi smart»
Sanificazione degli ambienti di lavoro e benessere; come incide la qualità dell’aria sull’efficienza produttiva dei dipendenti e dei collaboratori?
«Vivere e lavorare in un ambiente sanificato, certamente è un ottimo presupposto per il benessere della persona che vi soggiorna, ma non è sufficiente, perché condizioni ideali di temperatura, umidità e salubrità dell’aria vanno perseguite di continuo con azioni da compiere in maniera sistematica e puntuale.
Gli ambienti chiusi, che siano domestici o di lavoro, rappresentano un segmento importante della salvaguardia della salute dell’individuo. La salute della persona, infatti, è maggiormente condizionata dalla qualità dell’aria indoor che da quella outdoor. Ciò accade in quanto la qualità dell’aria indoor è il prodotto delle componenti presenti esternamente, nonché dalla presenza di sorgenti interne di emissione e diffusione di contaminanti, con concentrazione di inquinanti chimici e biologici che possono influenzarne le caratteristiche.
Ne consegue che le prestazioni lavorative dell’individuo, come pure la qualità della vita di ognuno, possono essere profondamente condizionate da queste componenti. Studi, infatti, confermano che un livello ottimale della qualità dell’aria indoor, porta a risultati e prestazioni lavorative migliori in termini di efficienza e redditività»
L’emergenza covid-19 può rappresentare un cambiamento nella percezione del problema della salubrità dei luoghi di lavoro, delle responsabilità a essa collegate e, se necessario, di una modifica della normativa vigente?
«Certamente sì. La pandemia da covid-19 ha segnato le vite di ognuno ed ha fatto emergere consapevolezze su questioni da tempo trascurate. Il rischio biologico nell’ambiente di lavoro, sebbene diffusamente disciplinato dal d.lgs 81/2008, oggi ha assunto una rinvigorita importanza, è al centro della strategia prevenzionistica dell’azienda.
Nell’era pre covid-19, ad esempio, erano poche le imprese che si preoccupavano del rischio derivante dal batterio della legionella, purtroppo da molti ritenuto marginale, ma che in realtà è molto più pericoloso di quel che si pensi e potenzialmente presente ovunque vi sia un semplice ed elementare impianto idrico o di condizionamento dell’aria. Nelle settimane precedenti alla fine del lockdown, le aziende si sono affannate nell’adottare i vari protocolli governativi e di categoria per poter al momento della riapertura (formalmente) lavorare in sicurezza.
Tutti, abbiamo dovuto confrontarci con l’evento pandemico, maturando una conoscenza dei rischi che ci circondano e dei pericoli che potremmo correre non attuando opportune condotte precauzionali. Le misure indicate nei protocolli, in estrema sintesi, sono best practice di prevenzione che avremmo comunemente dovuto adottare, e che oggi con maggior cautela ci troviamo a seguire perché consci della pericolosità del virus covid-19.
È questa la chiave di lettura di ogni piano di sicurezza: comprendere quanto può essere pericoloso un fattore di rischio, per poter approntare la giusta prevenzione e gestione. La conoscenza giuridica, tecnica e scientifica, quindi è indispensabile»