Il fatto che si parli in continuazione di qualcosa, non necessariamente indica che se ne parli bene e che in tal senso ci sia una corretta comunicazione e informazione. È il caso della formazione aziendale, intorno alla quale ci sono troppe generalizzazioni ed errori di sottovalutazione o banalizzazione.
Per affrontare l’argomento con serietà e competenza, abbiamo avuto il piacere di intervistare Linda D’Agostino, formatrice, Presidente regionale di Ecipa Formazione CNA Abruzzo e titolare della ELICA Innovation Technology. Con lei abbiamo affrontato il tema della formazione aziendale sotto diversi punti di vista, andando a toccare anche aspetti delicati e nevralgici di questo settore, permettendoci di individuare anche le reali potenzialità.
Si parla spesso di formazione e di investire su di essa, ma qual è il reale apporto che l’acquisizione di nuove competenze porta a un’azienda?
«Fino a qualche anno fa tutti potevano fare impresa, bastava avere quattro mura, un ‘insegna luminosa, qualche soldo per fare una prima fornitura e saperci calcolare sopra un minimo di ricarico. Era tutto più semplice e meno complesso.
Oggi nell’era della globalizzazione, delle grandi multinazionali, l’era della concorrenza del mercato del lavoro estero e di internet, per essere competitivi sono necessarie delle competenze specifiche di business. Queste competenze non si acquisiscono alla nascita ma vanno studiate.
Ad esempio un cardiochirurgo non nasce cardiochirurgo per diventare tale deve affrontare anni e anni di studio più applicazione. Esattamente così oggi è per l’imprenditore, così come non ci si improvvisa ad essere cardiochirurghi senza un adeguato percorso di studi (che continua a vita), non ci si può improvvisare titolari di impresa.
Il reale apporto per l’azienda, dell’acquisizione delle giuste competenze determina il fallimento oppure il successo di un business così come un cardiochirurgo determina la vita o la morte di un paziente»
Qual è lo scopo della formazione aziendale? A quali obiettivi deve puntare?
«Premettiamo che lo scopo di ogni azienda è quello di fare utili. Per raggiungere questo risultato oggi è necessario ridurre a zero gli errori. Per far questo è necessario aumentare lo standard qualitativo delle risorse umane che rappresentano il capitale più importante di ogni impresa.
A tal fine è necessario che l’imprenditore per primo si formi in maniera costante e continua e che faccia crescere attraverso percorsi sia motivazionali che tecnici i suoi dipendenti e collaboratori. La differenza fra un’azienda destinata al fallimento e un’azienda vincente viene dalla preparazione e dalla competenza dei collaboratori.
Mi piace sempre ricordare una frase che ho letto e che diceva che il collaboratore è colui che dal nulla crea un qualcosa, mentre lo scollaboratore è colui che da qualcosa è capace di creare il nulla. In tal senso ritengo che la formazione dei dipendenti sia una grande responsabilità che l’imprenditore deve assumersi, cosi come quella di scegliere collaboratori con una mentalità Win to Win.
Spesso il titolare pensa che un dipendente, se dotato di capacità non necessiti di formazione, ma non è così anzi al contrario, per avere una squadra vincente, così come avviene nel mondo del calcio, dove i giocatori, si allenano in maniera costante, ancor di più lo fanno quelli dotati di talento naturale.
Mi torna ancora alla mente una conversazione con un imprenditore, dove io suggerivo di far formare i propri collaboratori e lui mi rispose esattamente cosi: “Se dopo che li ho formati se ne vanno a lavorare in un’altra azienda?” Ed io : “E se invece non li formi e poi ti rimangono tutti?”
Lo scopo pertanto è quello di avere persone preparate, l’obiettivo è quello di far fare utili all’azienda»
Come si organizza una formazione rivolta alle aziende e alle figure che operano all’interno di essa?
«Prima di tutto attraverso lo stabilire una mission comune che va rafforzata e delineata proprio attraverso percorsi formativi rivolti all’ambito motivazionale. In secondo luogo con formazione e aggiornamento costante e continuo delle competenze tecniche di ogni collaboratore»
Parlando sempre di formazione, quali sono le cause o i fattori che limitano gli investimenti e le scelte strategiche in questa direzione? È un problema più culturale, economico o tecnologico?
«In base alla mia esperienza ritengo che sia un problema culturale. L’imprenditore italiano, in generale, è convinto di non avere bisogno di formazione imprenditoriale, focalizzandosi piuttosto sul suo prodotto quindi su corsi strettamente tecnici.
In Italia la formazione viene vista come una necessità di recupero e non come una corsa al successo come avviene invece ad esempio in America. È pur vero che l’offerta formativa presente in Italia, riguardo queste tematiche è sempre stata di stampo PNLlistico, di camminate sulle carbonelle o di immersioni nell’acqua fredda.
Senza voler offendere o denigrare chi è appassionato di questo tipo di formazione, ritengo che un imprenditore abbia bisogno di competenze più specifiche quali marketing, acquisizione clienti, cash flow, brand positioning, vendita. In Italia, escludendo Mario Silvano che fu il primo a portare una formazione tecnica, agli inizi degli anni 80, basata essenzialmente sulla vendita ( tecniche di vendita) che in quell’epoca è iniziata è finita, nessun altro ha portato la mentalità di crescita delle competenze imprenditoriali.
Da quel periodo in poi infatti è iniziata la moda della formazione “New Age”, inutile a portare l’azienda a fare utili»
Quali sono, anche alla luce di quanto accaduto in questi mesi, le sfide su cui si giocherà il futuro delle aziende, soprattutto quelle italiane?
«Molte aziende purtroppo non ce la faranno dopo il Covid, ma non a causa di quest’ultimo. Per molte aziende la pandemia ha solo messo la lente di ingrandimento su criticità già esistenti.
Lì dove l’imprenditore avrà sempre più una mentalità focalizzata alla preparazione, alle competenze e non più all’improvvisazione, ci saranno invece grandi opportunità di crescita e sviluppo. Chi è senza strategia e senza le conoscenze necessarie ad oggi per fare impresa, non avrà futuro»